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Siamo sempre NUOVI-NUOVI

a cura di Renato Barilli e Roberto Daolio
 
dal 21 marzo al 5 maggio 2009
 
Il gruppo dei Nuovi-nuovi è stato così battezzato agli inizi del 1980 in una mostra presso la Galleria d’Arte moderna di Bologna, a cura di Francesca Alinovi, Renato Barilli e Roberto Daolio. Successivamente i tre curatori ne hanno proposto mostre via via più ampie, fino a un massimo di venti unità, dapprima a Genova, Teatro del Falcone, poi a Roma, Palazzo delle Esposizioni, 1983, e in altre sedi ancora. Dopo la tragica scomparsa dell’Alinovi, il compito di sostenere il gruppo è stato assunto con immutata dedizione da Barilli e Daolio, che ne hanno pure curato una riproposta nel 2000, alla Galleria d’Arte Moderna di Torino. I Nuovi-nuovi, seppur così battezzati solo nel 1980, hanno avuto una lunga gestazione nel corso degli interi anni Settanta, in cui hanno costituito una parte determinante del fenomeno di ribaltameno rispetto alle prospettive stabilite, a partire dal 68, dall’Arte povera e altre tendenze similari. Queste, com’è noto, avevano inteso abbandonare le tecniche tradizionali dell’arte, a cominciare dalla pittura, per utilizzare i nuovi media tecnologici e con essi procedere a una conquista “immateriale” dell’ambiente, curando più gli apporti della mente (arte concettuale) che dei sensi, e riprendendo in un certo senso l’invito del Futurismo a trascurare il museo e il passato per slanciarsi a conquistare un futuro etereo e impalpabile. Ma dal seno stesso dell’Arte povera si erano già affacciate tendenze di segno opposto, espresse da Giulio Paolini, e da taluni aspetti dell’opera di Fabro e Kounellis, tanto che già nel 1974, Barilli aveva potuto organizzare allo Studio Marconi di Milano la mostra “La ripetizione differente”, dove si additavano appunto le prospettive di chi, come Paolini, Kounellis e Fabro, andavano a rivisitare il passato e la memoria, ma valendosi della strumentazione impalpabile di specie concettuale. Però vi figuravano anche Luigi Ontani e Salvo, che con maggiore coraggio facevano riapparire tracce di pittura. Da quel momento è stato un seguito di iniziative dello stesso senso, volte cioè a riacquisire doti cromatiche, di immagine, di decorazione, il che ha accomunato l’intera generazione dei nati attorno al 1950. Questa vasta attività abbastanza concorde negli intenti si è però diramato lungo tre direzioni. C’è stato chi, al seguito di Carlo Maria Mariani, ha voluto simulare una specie di copia fedele di capolavori sconosciuti, e in realtà inesistenti, seguendo strettamente i criteri della “citazione”, condotta in modi paradossalmente conformi e super-accademici. Altri invece, per introdurre un fattore differenziante rispetto ai modelli museali, hanno adottato maniere strapazzate di ostentata “brutta pittura”, ricalcando le tracce di un espressionismo volutamente grossolano e provocante. Altri infine hanno ritenuto che la “ripetizione differente” richiesta potesse consistere in una traduzione delle forme del passato sul registro leggero, traslucido, gioiosamente cromatico, che era ormai caratteristico delle immagini elettroniche trasmesse dai video attraverso lo sciame dei pixel. In fondo, meglio sarebbe stato che queste tre anime coesistessero tra loro con scambi reciproci, ma ci fu un intervento di critici e galleristi, e degli stessi artisti portati a schierarsi in gruppuscoli, per cui nacquero tre etichette distintive: gli Anacronisti, al seguito di Mariani, la Transavanguardia, racchiusa in cinque nomi, Chia, Clemente, Cucchi, De Maria e Paladino, e infine la vasta compagine che, come detto all’inizio, ha preso il nome un po’ generico dei Nuovi-nuovi ma che forse meglio delle altre indicava la ricchezza interna di quel clima, anche in forza dell’alto numero dei componenti. Infatti gli Anacronisti sacrificavano per intero le possibilità di nuova decorazione (che negli USA avevano preso il nome di Pattern Painting), la Transavanguardia, oltre a insistere esclusivamente sull’aspetto brutalista e “antigrazioso”, quasi ignorava a livello teorico il fatto che accanto agli “iconici” Chia, Clemente, Cucchi e Paladino, vi trovasse posto anche l’aniconico, decorativo De Maria. Invece la formazione dei Nuovi-nuovi si divideva quasi in misura uguale tra i compilatori di immagini, ma nel registro leggero, magico, ludico quale si addiceva alla nostra età postmoderna, ed altri che invece non sdegnavano le vie di un’astrazione, ma anch’essa condotta in modi incantati e favolosi. In seno a quel gruppo esisteva pure un giusto equilibrio tra le soluzioni di superficie e altre di specie plastica tridimensionale, con pronto passaggio dalle une alle altre.  Purtroppo avvenne allora una selezione partigiana e unilaterale che pretese di premiare la via più clamorosa e protestataria, cioè appunto la Transavanguardia, che venne forzosamente assunta come unica interprete di una situazione ben più ricca e articolata al suo interno. Purtroppo si deve registrare la tendenza, più volte apparsa, che per ragioni di mercato o di propaganda porta a restringere i prodotti di ogni epoca in pochi campioni privilegiati, a danno di tutti gli altri. La cosa si è verificata pure nel caso di un fenomeno nel complesso più accentrato e dominante quale l’Arte povera, un’inclusione che però ha tagliato fuori tanti altri validi comprimari.
   Si potrebbe dire che il tempo ha fatto giustizia di vinti e vincitori, in quanto le medesime tecniche extra-artistiche, antipittoriche e concettuali messe in orbita dal clima del 68, dopo un periodo di recessione durato fino alla metà degli Ottanta, sono riemerse in forze, attraverso un quadro esteso e quasi dittatoriale che è stato conosciuto sotto il termine del post-concettuale. Ma oggi assistiamo a una nuova oscillazione del pendolo della ricerca, che dopo aver concesso tanto terreno all’immateriale e all’impalpabile, con utilizzo esasperato di foto, video, scritture, rilancia le vie di una ri-materializzazione, con relativa ricomparsa dei valori della cromia e dell’immagine. Basti pensare all’attualità dei vari fenomeni di graffitismo, muralismo, wall painting e simili. Del resto, una certa linea ufficiale, ispirata a una “aesthetical correctness”, non ha mai rinunciato a esaltare la causa della Transavanguardia, e dunque a maggior ragione è opportuno continuare a promuovere pure la causa dei Nuovi-nuovi, in quanto il loro immaginario continua ad essere in linea con i caratteri dell’iconologia espressa dai video, dalle immagini elettroniche, e il loro estro decorativo si conviene perfettamente con i requisiti del postmoderno in architettura e nel design, C’è una perfetta sintonia dei Nuovi-nuovi, ma anche degli Anacronisti, con i portati del postmoderno architettonico quale espresso dai Rossi e Venturi e Graves, ma in particolare proprio i Nuovi-nuovi fanno da sponda all’antidesign gloriosamente sviluppato da Sottsass e da Mendini, cosa che non può affatto dirsi in riferimento ai frutti “selvaggi” della Transavanguardia, se si eccettuano gli apprezzabili florealismi di De Maria, del resto pienamente in accordo col versante aniconico dei Nuovi-nuovi. Questi ultimi, insomma, consuonano alla perfezione con l’attuale panorama di espressioni divertite, agili, eleganti, quali provengono dall’intera produzione planetaria, in cui hanno ormai una parte dominante i giapponesi Murakami e Mariko Mori, o tanti statunitensi, da Koons a Kelley, o gli anglo-africani Ofili e  Shonibare.
   La presente mostra intende insistere proprio nel presentare i Nuovi-nuovi, nella formazione plenaria con cui si sono manifestati in passato negli appuntamenti prestigiosi di Roma e Torino, non tanto per i loro meriti storici, la cui tutela si addice assai meglio a una istituzione museale  pubblica, quanto per la loro non scalfita validità attuale, e capacità di risultare concorrenziali rispetto agli esiti più arditi e stimolanti degli attuali lavori in corso. Ne viene dunque una proposta che si rivolge a un collezionismo avveduto, dai riflessi pronti, che non sia schiavo di valutazioni prestabilite e ormai sclerotizzate, ma sappia giudicare coi propri occhi,  condurre un vitale confronto tra gli ultimi arrivati e i loro predecessori, che magari nuovi-nuovi più non sono, ma che però mantengono un intatto potere di seduzione, a gara con gli ultimi nati. Per stimolare queste possibilità di un collezionismo dai riflessi pronti le opere in mostra sono quasi tutte in vendita, pur nel rispetto delle varie afferenze dei singoli a precise scuderie.

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